venerdì 26 febbraio 2010

SCIENZA E FEDE

Mercoledì 20 alle ore 20,45 alla Gran Guardia, si è tenuto un dibattito sul tema “Scienza e fede” con due illustri protagonisti: il Vescovo di Verona, Mons. Giuseppe Zenti e l’astrofisica Margherita Hack.
Il primo ha sostenuto la tesi dal punto di vista cristiano; la seconda, invece, dal punto di vista degli atei: infatti la dott.ssa Hack è presidente dell’Unione Italiana Atei ed Agnostici.
Entrambi hanno parlato di scienza e fede dal punto di vista personale. Il Vescovo Zenti ha affrontato l’argomento cominciando dal proprio cammino di fede; mentre Margherita Hack ha subito esposto l’argomento una posizione materialistica, malgrado in seguito abbia lasciato spazio ad espressioni quali. “Non posso sostenere che Dio non esita, ma neanche che esita”.
Personalmente devo dire che l’argomento proposto dal dibattito mi ha subito coinvolto, ma poi non sono riuscito a cogliere spunti particolarmente interessanti.
Il motivo del mio disappunto è che i dibattiti dovrebbero aiutare, se non i relatori, almeno gli spettatori a trarre delle conclusioni. Inoltre, mi sarei aspettato che i relatori avessero trovato dei punti in comune tra scienza e fede. Invece, il dibattito è stato un semplice scambio di opinioni, senza un vero e proprio “contraddittorio”.
D’altra parte, è stato giusto così. La Hack non si sarebbe mai potuta permettere di contraddire il Vescovo con le sue tesi da atea, così come Mons. Zenti avrebbe sbagliato se avesse imposto il suo pensiero da cristiano.
Due campi così diversi (la scienza e la fede) non si devono sovrapporre perché hanno compiti diversi all’interno della società; inoltre, i due relatori hanno vissuto esperienze completamente diverse, con pensieri diversi e diversi obiettivi a cui tendere.
Nello specifico, Mons. Zenti non conosce bene la scienza come la Hack e viceversa, quest’ultima non è in grado di scendere nelle profondità della fede come il Vescovo di Verona. Mi ha un po’ deluso l’affermazione della scienziata che “credere in Dio è come credere in Babbo Natale”, come pure la frase del vescovo che diceva: “Il vero ateo è egoista”.
In conclusione, credo che le due posizioni fossero troppo distanti e troppo “chiuse”, per cui non ci sono stati punti di contatto e neppure di scontro. Personalmente, sul tema “Scienza e Fede”, trovo piu’ accattivanti gli argomenti addotti dai miei compagni di classe.
Carlo Lombardi

Visualizza Senza titolo in una mappa di dimensioni maggiori

sabato 20 febbraio 2010

LA SCHIAVITU'


“La schiavitù è la condizione per cui un individuo rimane privo di tutti i diritti di persona libera e viene considerato come proprietà di un altro individuo”. Il fenomeno della schiavitù ha origine fin dall’ antichità. Lo schiavismo era un’ attività puramente legale nella Grecia Classica e nell’ Impero Romano.

LA SCHIAVITU NELL' ANTICA ROMA In ognuna delle fasi storiche di Roma si può riscontrare il fenomeno della schiavitù. L'entità numerica e l'importanza sociale della schiavitù nella Roma antica incrementa con l'espansione dell'impero e la sconfitta di popolazioni che vengono catturate e molto spesso rese schiave. Nel tardo impero, la contrazione dei confini, l'ascesa al potere di imperatori non italici, la diffusione del Cristianesimo e la concessione della cittadinanza romana a molti popoli barbari (in seguito al loro arruolamento nelle legioni romane oppure al pagamento di tributi) porta ad un declino del fenomeno dello schiavismo. In lingua latina, schiavo si dice "servus"oppure 'ancillus'. I romani consideravano l'essere schiavi come un fatto infame, ed un soldato romano preferiva togliersi la vita piuttosto che diventare schiavo di un qualsiasi popolo 'barbaro' (termine che significa 'non romano').

Né in America settentrionale, né in America meridionale fu possibile sfruttare la mano d'opera locale durante il periodo del colonialismo europeo. Gli indios sudamericani non avevano i requisiti fisici necessari per svolgere i lavori più pesanti e non avevano resistito alle epidemie di vaiolo introdotte dagli spagnoli.

IL COMMERCIO TRIANGOLARE I neri d' Africa, per loro natura più resistenti, costituivano da questo punto di vista un'alternativa. Venivano reclutati sul posto, il più delle volte acquistati da mercanti arabi (questo popolo praticava a sua volta lo schiavismo). Il contesto più ampio in cui si introduceva la tratta dei neri era quello del cosiddetto commercio triangolare che, intorno al Seicento, ruotava tra i vari continenti affacciati sull'oceano Atlantico su grandi e moderne navi. Una volta comprati o catturati, gli schiavi neri attraversavano l'oceano verso il continente americano per svolgere poi i lavori forzati (vedi immagine a destra). Frequentemente, gli schiavi erano addetti alle piantagioni di cotone e davano così agli europei la possibilità di esportare il cotone grezzo in Europa; lì, il materiale veniva lavorato e trasformato in stoffe e indumenti. Dall'Europa alcuni prodotti tessili venivano poi esportati, per esser barattati con nuovi schiavi. Scopo dell'immensa rotazione era anche quello di creare ricchezza pagando i mercanti di schiavi africani con merce di poco valore, ma tecnologicamente.
L’ ABOLIZIONISMO “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. La schiavitù fu a lungo messa in discussine dagli illuministi e dai cristiani. Nel 1833, dopo un lungo processo secolare, venne abbolita la schiavitù, anche se, sebbene illegalmente, viene praticata ancora oggi.
LA SCHIAVITU’ OGGI Similmente a quanto si è potuto osservare nel corso della storia, lo schiavismo colpisce spesso etnie di paesi stranieri, che per una ragione o l'altra si trovano in un ruolo subalterno o in posizione svantaggiata. Ad esempio tra gli immigrati provenienti dall'Est Europa e da altri continenti non si trovano più solo persone motivate dal bisogno di sicurezza o di sostentamento personale: spesso infatti gli emigranti lasciano il paese contro la propria volontà; altre volte si tratta di persone che sono state convinte a partire con promesse ingannevoli. In questi casi, non è esagerato scomodare il termine di tratta di schiavi verso i paesi occidentali (vedi nota sulla legislazione alla fine di questo capitolo). In Italia, i settori economici dove il fenomeno dello schiavismo è più frequente sono forse la prostituzione e l'agricoltura. Documentazione relativa a queste forme di schiavismo si trova in riferimento a Salgaa e Abidjan . Nel caso della prostituzione, è tipico dello schiavismo tradizionale il frequente ricorso alla somministrazione di droghe per tenere sotto controllo la vittima , come si evince dal complesso problema del traffico di schiavi sessuali . Nel caso dell'agricoltura, in casi sporadici è stato denunciata la presenza di una sorveglianza armata che impedisca la fuga delle vittime.